mercoledì 27 luglio 2011

Chi tira la carretta

Quando Tremoni in parlamento presentava la sua ultima manovra fianziaria parlava del Titanic. Su questo blog è da tempo che si cita il Titanic, o meglio, che si parla di Italic al posto di Italia, per dire come l'andazzo economico del paese va di male in peggio.

Probabilmente dovrei chiedere al Ministro dell'Economia i diritti d'autore.

Si possono fare tutte le manovre finanziarie che si volgiono, ma il punto è che l'Italia è un paese a crescita zero. E' difficile ripianare un debito se non si guadagna. Sono state addotte molte motivazioni: fuga dei cervelli, crisi globale, crescita della Cina, bla, bla, bla...

secondo me i motivi sono sostanzialmente due:
1. Una classe politica che in cambio di soldi concede scorciatoie ai soliti "furbetti del quartierino";
2. I furbetti del quartierino che, una volta ottenuti gli appalti e i soldi dallo stato, invece di reinvestirli li nascondono in società off-shore.

A questo punto rimane da chiedersi chi è che in Italia tira veramente la carretta, ossia lavora, e con il proprio lavoro dà lavoro e soldi ad altri e paga regolarmente le tasse.

Probabilmente qualche salumaio e qualche fornaio. Per gli altri, ad es., idraulici o dentisti bisogna vedere se fatturano.

E meglio nascondere i soldi in società off-shore, invece di creare nuove fabbriche. Creare una fabbrica e dare posto di lavoro ad altri è un'impresa piena di grattacapi. E' più facile evadere il fisco. Soprattutto se il fisco è una giungla di norme e regole di difficile comprensione. Poi vai a finire nelle grinfie di Equitalia.

Personalmente, lo stato non può chiedere troppi soldi a chi avvia un'impresa. E' vero che ci sono agevolazioni fiscali per chi cerca di avviare una nuova impresa, ma il problema è che chiedere soldi in tasse alle imprese è immorale quasi come chiedere il pizzo. Chi avvia un'impresa deve affrontare, DA SOLO, motli problemi. Si indebita, perde tempo per i documenti, i certificati, deve pagare gli stipendi della gente, i fornitori. Si assume molti rischi che lo stato non si assume. Potrei capire se lo stato fin dal'inizio si assumesse una parte dei rischi. Altrimenti è troppo comdo chiedere dei soldi senza aver dato nulla in cambio. La mia idea sarebbe questa: chi avvia un'impresa deve essere agevolato burocrticamente e finanziariamente. Inoltre, quando l'impresa è avviata, lo stato non può chiedere più del 5% di tasse, solo sui profitti. Supponiamo che il guadagno sia 100, allora solo 5 va allo stato. E' necessario, però, che l'impresa abbia un conto corrente in un istituto bancario italiano, che i movimenti di tale conto siano monitorati anche dai finanzieri, e che tutti i movimenti di bilancio avvengano tramite questo conto corrente. Chiaramente, il proprietario dell'impresa è libero di prelevare per sè i soldi dal conto corrente, però si vedrebbe subito se il furbo, nel senso che li mette in un conto off-shore oppure li usa per altri motivi. E, probabilmente, si smetterebbe di usare i conti off-shore per pagare tangenti a chicchessia.

In altri termini, ogni impresa o attività, deve avere il suo conto corrente in Italia. Tutto ciò cha va o viene dai conti off-shore è da considerarsi illegale.

Verrebbe però così a mancare lo sporto preferitto dai ricconi italiani: nascondere i soldi all'estero, continuando a far finta di essere quelli che "tirano la carretta".

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